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I CARBONI ATTIVI

I carboni attivi sono dei carboni che vengono utilizzati come filtranti, con lo scopo di adsorbire contaminanti presenti sia nei liquidi che nell’aria. Detti attivi o attivati per il processo al quale sono sottoposti, che dona loro specifiche caratteristiche, come i molti piccoli pori che ne aumentano l’area superficiale, dandogli così un maggior potere adsorbente. In media un grammo di carboni attivi presenta un’area superficiale di 500-2500 m2, ma può arrivare fino a 3000 m2 (Dillon et al. 1989).

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Possono essere preparati partendo da diversi materiali, sostanze organiche con un elevato tenore di carbonio, di cui i più comuni sono il carbone, il legno (lignite) o i gusci di noce di cocco. Inizialmente vengono sottoposti a pirolisi con temperature tra i 600 e 900 °C alla presenza di gas inerti, come l’azoto o l’argon, ovvero in assenza d’aria. In seguito sono esposti all’aria, dove si ossidano, “attivando” il materiale utilizzando del vapore, sempre a temperature tra i 600 e 900 °C, permettendo l’erosione della superficie e la formazione interna di pori. Per aiutare la formazione di pori può essere aggiunto del cloruro di metallo durante il processo.

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Non solo il materiale di partenza influenza le caratteristiche del prodotto finale, ma anche il tempo di attivazione. Più è elevato, maggiore è la formazione di pori, ma anche la loro grandezza.

I principali parametri di caratterizzazione di un carbone attivo sono l’area superficiale, le dimensioni dei pori (capacità ad adsorbire molecole di diverse dimensioni), l’umidità, il contenuto di ceneri, la densità (apparente, particellare e reale), la durezza e la resistenza all’abrasione (Grassi M. 2010). D’importanza maggiore è ad esempio il volume dei pori, espresso in volume per unità di peso del carbone. Generalmente per carboni originati da minerali di carbone i valori sono di 0.8-1.2 mL/g, mentre per quelli ricavati da materiale legnoso di 2.2-2.5 mL/g (Cooney, 1999). I pori generalmente hanno struttura irregolare e possono essere di dimensioni differenti, da meno di 10 Å a più di 100000 Å (1 Å = 0.000000001 m). I pori sono classificati come macropori, se il diametro è superiore a 500 Å (>50nm), mesopori con un diametro tra 500 Å e 20 Å (50-2nm) e micropori quando il diametro dei pori è inferiore a 20 Å (<2nm) (Grassi M. 2010).

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Figura 1: rappresentazione delle cavità formate dai pori di un carbone attivo, sulla cui superficie vengono adsorbiti gli inquinanti.

Altri elementi che possono influenzare la capacità di adsorbimento sono (Pavanato, 2011):

  • La temperatura: in linea generale più la temperatura è alta, più si abbassa la capacità di adsorbimento.

  • Il pH della soluzione: il pH è di centrale importanza quando si ha a che fare con sostanze che possono ionizzarsi per effetto del pH, poiché un composto, se ionizzato, è più difficilmente adsorbito. In generale dunque, le sostanze acide vengono adsorbite meglio con un pH basso, mentre quelle basiche con un pH alto.

  • La natura del soluto: per i composti inorganici in forma neutra si ha un buon potere d’adsorbimento, al contrario di quelli in forma ionizzata. Per i composti organici invece, più carbonio contengono e più sono grandi, e più saranno adsorbiti. La presenza di gruppi funzionali può aumentare (gruppo NO2) o diminuire (gruppi ossidrile, amminici e solfonici) la capacità di adsorbimento. Anche la struttura molecolare influenza la qualità d’adsorbimento, che è ad esempio migliore per i composti aromatici e minore per gli alifatici. La polarità è anch’essa un parametro importante, i composti apolari sono più facilmente assorbibili al contrario di quelli polari.

  • I soluti concorrenti: la presenza di più soluti crea una competizione per l’adsorbimento. Possono comunque essere presenti siti attivi con affinità solo per specifiche sostanze, diminuendo la competizione.

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I carboni attivi possono essere classificati in differenti tipologie, in base alla loro dimensione, forma, metodo d’utilizzo e applicazioni pratiche:

  • Carbone attivo granulare (GAC): carbone sotto forma di granuli. Adatto per l’adsorbimento di gas o vapori, cui si diffondo rapidamente. Essendo di dimensioni maggiori del PAC, presenta una superficie specifica minore. Solitamente utilizzato in letti filtranti.

  • Carbone attivo in polvere (PAC): carbone attivo sotto forma di polvere, con pori più piccoli e quindi con maggiore superficie specifica. Generalmente con diametro tra 0.15-0.25 mm. È introdotto direttamente nelle altre unità del processo del trattamento delle acque, come nei fanghi, nei bacini di miscelazione o chiarificazione.

  • Carbone attivo estruso (EAC): è una miscela di carbone attivo in polvere ed un legante (resina), poi fusi insieme ed estrusi in un blocco unico cilindrico con diametro tra 0.8 mm e 1,3 cm. Utilizzato principalmente per composti in fase gassosa grazie alla sua bassa perdita di carico, elevata resistenza meccanica e un basso contenuto di polveri.

  • Carbone attivo a microsfere (BAC): derivante dal petrolio, presenta un diametro tra i 0.35-0.80 mm. Ha caratteristiche simili al EAC (una bassa perdita di carico, elevata resistenza meccanica e un basso contenuto di polveri), ma con una granulometria inferiore. La sua forma sferica lo rende ideale per applicazioni a letto fluido per la filtrazione dell’acqua.

  • Carbone attivo impregnato: è un carbone poroso impregnato con composti inorganici come lo iodio e l’argento, per migliorarne le prestazioni.  

  • Carbone polimerico: carbone rivestito con un polimero biocompatibile per dare un rivestimento liscio e permeabile senza bloccare i pori. 

  • Carbone attivo biologico (BAC): la superficie del carbone favorisce naturalmente la proliferazione della biomassa batterica, che agisce anch’essa nell’adsorbimento dell’inquinante.​​​

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Figura 2: carbone attivo granulare (CAG), carbone attivo in polvere (PAC) e carbone attivo estruso (EAC).

Per scegliere la tipologia di carboni attivi da utilizzare per la rimozione di una determinata sostanza, spesso si guarda l’equilibrio di adsorbimento, ovvero la capacità massima d’adsorbimento di un specifico solvente. Questo è espresso tramite diagrammi delle isoterme di adsorbimento, specifiche per ogni soluto e fornite direttamente dal produttore dei carboni attivi. Si tratta semplicemente di grafici che mostrano la concentrazione finale di soluto nella soluzione per la concentrazione adsorbita dal carbone, a temperatura e pH costanti (Fig. 3).​

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Figura 3: Isoterma di adsorbimento del cesio con il modello di Langmuir. 

Per stimare la quantità di carbone attivo necessario, si può fare riferimento al Carbon Usage Rate (CUR), che determina il suo tasso di esaurimento: la quantità di carbone attivo che si esaurisce per il volume di acqua trattata. Con questo valore si può poi calcolare il tempo teorico di esaurimento dei carboni, fornendo dunque un’indicazione di quando deve essere rigenerato o sostituito.

 

I carboni attivi dopo essere stati utilizzati svariate volte, a dipendenza del composto da filtrare, perdono la loro capacità adsorbente, ovvero si esauriscono e devono quindi essere rigenerati per tornare a livelli di adsorbimento performanti. La rigenerazione può essere effettuata con differenti metodi:

  • Flusso di vapore o di gas inerte: avviene a temperature elevate per permettere il distacco delle sostanze volatili adsorbite;

  • Processi termici: il carbone attivo viene riscaldato in forni rotanti ad atmosfera controllata a temperature di 
800-900 °C
, permettendo la degradazione termica dell’inquinante e la ristrutturazione dei pori. Con un’alta efficienza è anche chiamato processo di riattivazione.

  • Metodo chimico: l’utilizzo di sostanze chimiche permette l’ossidazione dei composti organici o in alternativa l’utilizzo di solventi per la loro estrazione. Ideale per la rimozione di un unico inquinante o particolari classi di composti, perché tende ad avere difficoltà nella rigenerazione di combinazioni eterogene di sostanze, come nel caso delle acque reflue.

  • Processi di rigenerazione biologica: utilizzo di microorganismi per la degradazione del contaminante (Aktas and Çeçen, 2007).
 Solo per contaminanti organici.

  • Rigenerazione con microonde: le microonde sfruttano la natura dielettrica dei carboni attivi, permettendo un aumento della temperatura al suo interno e il desorbimento dei contaminanti dai carboni.

 

Da notare che il carbone attivo granulare può essere riattivabile, al contrario di quello in polvere, che deve essere rimosso mediante sedimentazione o filtrazione su membrana.

Nella riattivazione, del materiale viene perso e deve dunque essere sostituito da carbone nuovo. Dopo svariati cicli, il carbone attivo deve essere comunque sostituito o rimpiazzato.

Per quanto riguarda lo smaltimento dei carboni attivi esausti, in genere, devono essere trattati e poi smaltiti come rifiuti pericolosi, soprattutto il carbone attivo impregnato, seguendo dunque le legislazioni e raccomandazioni locali.

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UTILIZZO DEI CARBONI ATTIVI

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I carboni attivi sono ampiamente utilizzati per il trattamento delle acque reflue e potabili, per la purificazione dell’aria, di piscine e acquari, in ambito alimentare e nell’industria farmaceutica.

Uno dei punti di forza dei carboni attivi è il loro grande spettro di efficacia su diverse molecole, anche molto differenti tra loro. L’adsorbimento di un ventaglio diversificato e eterogeneo di sostanze permette l’utilizzo anche in condizioni in cui sono presenti più sostanze da eliminare. È anche adatto nel proteggere da contaminazioni puntuali e inquinamenti improvvisi. È particolarmente indicato per sostanze poco o non degradabili.

Si tratta inoltre di un sistema con un basso consumo di energia nel suo utilizzo e che non produce sottoprodotti.

 

In generale il carbone attivo ha un’efficacia maggiore con i composti non polari, quelli poco idrosolubili e quelli con elevato coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua (Kow). È valido anche nell’eliminazione di residui dei trattamenti di ossidazione e disinfezione (UFSP, 2010).

Oltre al fatto che può essere utilizzato per il controllo di sapori e odori, influisce anche sul COD (domanda chimica d’ossigeno), il BOD (domanda biochimica d’ossigeno) e il TOC (carbonio organico totale).

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Nell’acqua potabile l’adsorbimento su carbone attivo è considerata la migliore tecnologia disponibile per la rimozione dei microinquinanti emergenti (Delgado et al., 2012). Nella produzione di acqua potabile è preferibile usare il carbone attivo granulare (GAC) in filtri alla fine del processo, prima della fase di disinfezione. Il carbone attivo in polvere (PAC) è usato solo in caso di episodi puntuali di criticità.

 

Nel processo di trattamento delle acque reflue, si utilizza invece maggiormente il PAC. Il carbone attivo in polvere può infatti essere dosato direttamente nel reattore biologico già esistente o a monte di un filtro terziario. Il tempo di contatto varia dai 20 ai 60 min, o più. Il dosaggio è influenzato dai valori della materia organica dell’affluente, ma di solito con valori 7-20 mg/L. Abitualmente nel trattamento a fanghi attivi di acque reflue urbane, il dosaggio è di circa 1,5 gPAC/gDOC (GdL-MIE. 2020).

 

Per aumentare l’efficienza d’eliminazione dei microinquinanti una combinazione della tecnica di ozonizzazione e adsorbimento su carboni attivi sembra essere ideale (Reungoat et al., 2012). Si ha infatti l’attivazione biologica del carbone attivo (BAC), l’ossidazione tramite ozono accresce la biodegradabilità delle molecole poiché degradate dalla biomassa che si trova sui carboni attivi, aumentando dunque l’adsorbimento (GdL-MIE. 2020).

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Esempi di alcune classi di composti in cui il carbone attivo presenta la sua efficacia:

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